La Repubblica

Sussurri & grida, Caratteristi, meglio se italiani

di Maurizio Costanzo
 
E' frequente imbattersi in encomi solenni di caratteristi del cinema americano. Generalmente, queste celebrazioni si concludono con una considerazione d'obbligo: purtroppo in Italia non abbiamo caratteristi o comprimari da mettere a confronto con quelli d'oltre oceano. E' l'ennesimo luogo comune: anche da noi ci sono caratteristi e comprimari di qualità. E' la stupida consuetudine del trovare sempre più verde l'erba del vicino, a suggerire le amare riflessioni agli aedi del cinema americano.

Un nome per tutti: Leo Gullotta. E' arrivato alla popolarità con la serie televisiva «Biberon», dove si vestiva da donna per interpretare Leonida, moglie invadente e ciarliera di un attonito Pippo Franco. Garantisco che Leo Gullotta, pur interpretando con professionalità la suddetta signora Leonida, ha dato ben altre prove. Non a caso ha vinto un Nastro d'Argento e un David di Donatello. Lo ricordo in «Mi manda Picone», in «Spaghetti House» nel difficile ruolo accanto a Nino Manfredi e, recentemente, nel film di Tornatore «Nuovo cinema Paradiso». In questa pellicola, applaudita per oltre dieci minuti dalla difficile platea del festival di Cannes, Gullotta interpreta uno strappa biglietti-maschera un po' scimunito e impedito nella parola.

Eppure, avendo a copione soltanto borbottii o parole sconnesse, è riuscito a disegnare un personaggio efficace e memorizzabile. Credo che, finalmente, in questi mesi, Gullotta sia riuscito a diventare protagonista nel film «Scugnizzi» diretto da Nanny Loy. Probabilmente, se non ci fossero stati i lazzi della signora Leonida, avrebbe dovuto rinunciare a misurarsi nella prova più impegnativa.

Andando indietro di una generazione, non possiamo non ricordare un altro grande comprimario o caratterista: Enzo Cannavale. Conclusasi la stagione dei finti film sexy, dove era costantemente impegnato, Cannavale ha potuto dimostrare, in più di un'occasione impegnata le sue capacità. Proprio in «Nuovo cinema Paradiso» testimonia cosa vuol dire recitare, interpretando un piccolo arrampicatore di provincia che, strizzando l'occhio alla politica senza perdere mai di vista il botteghino, cerca di far soldi con una attività che sta vivendo gli ultimi splendori.

Dopo Gullotta, e Cannavale, potremmo fare altri nomi, passando in rassegna le opere di una promettente «nouvelle vague» italiana. Oppure compilare un albo d'oro frugando nei film anni cinquanta e sessanta e ancora prima o in quello straordinario laboratorio di debuttanti che erano le storie dirette da Mario Mattoli.

Sarebbe interessante, oltre che giusto, che la televisione, unico mezzo ormai autorizzato a rilasciare attestati e diplomi, dedicasse una serata ai grandi caratteristi dello spettacolo italiano. Sarebbe un'occasione per dare al cinema, a mio parere in una nuova fase creativa, un ulteriore incoraggiamento. La suddetta operazione avrebbe infine un altro e non secondario scopo: invitare i nuovi comici, presenti in televisione e in teatro, ad unirsi al coro, abbandonando l'irragionevole vocazione al monologo che cocciutamente perseguono.

Maurizio Costanzo