Mille fili d’erba

Obiettivo di questa sezione non è tanto quello di “raccontarvi” una vita, bensì quello di farvene percepire la “straordinaria normalità”.

Vogliamo farlo attraverso le stesse parole di Leo, tratte dal libro intitolato proprio come questa sezione: “Mille fili d’erba – ovvero, come vivere felici anche su questa terra”, perché pensiamo che la loro spontaneità e la loro profonda umanità possano parlare ai cuori molto più di mille fredde biografie.

Vi invitiamo, tuttavia, a leggerlo per intero, perché, come afferma Rodolfo di Giammarco, “Questo libro non contiene sentenze ma quel tipo di ‘modesti consigli’ che hanno fatto a volte la fortuna di prodighi, schivi e sorridenti raccontatori dell’uomo. Come amerebbe definirle l’Autore, troverete in queste pagine cose sfiziose, dignitose, ammonitrici, saporite, spietate, indulgenti, belle e brutte, come tutte le cose della vita, di cui Gullotta ha grande e non convenzionale rispetto. Leggere per credere. Il cuore è in alto a sinistra. Lo sentirete. E l’ironia non si nega a nessuno”.

I Capitolo

LeoPicasso

Picasso disse una volta: "Quando avevo quattordici anni dipingevo come Raffaello. Solo dopo 65 anni sono riuscito a dipingere come un quattordicenne...". Io non faccio il pittore, non sono un Maestro e, soprattutto, non mi chiamo Picasso. Il mio nome è Gullotta, Leo Gullotta. E faccio l'attore. Sono nato nel 1946 e, vi assicuro, non l'ho fatto apposta. La mia vita, che mi auguro sia ancora dolce e lunga, ha solo per puro caso attraversato una serie di eventi storici, e tuttavia attuali, in cui mi piace raccontare me stesso. Scusatemi di questo, ma vi assicuro che non sarò prolisso ed eviterò puntualmente ogni fatto o cosa che possa suscitare noia o interesse eccessivo.

E ora ascoltate.
Nel mio mondo, quello dello spettacolo e del cinema in particolare, ogni scena è contrassegnata da personaggi, da stagioni, dal giorno o dalla notte... proprio come accade nella vita.

Scena 1 / Catania / Interno giorno / Casa mia / 1946

Leo a 12 anni.
E’ il 9 di gennaio. Sono le 13, credo, e sto venendo al mondo. E’ incredibile! Sentite cosa dico.        
LEO:
Uhheeeeeeeeeeeee !!!
E’ la prima battuta della mia vita. E chissà se fa ridere…    
E’ l’inizio di una sceneggiatura? Si certo, ma è soprattutto l’inizio di una vita semplice, normale, uguale a mille altre.

Ma nel 1946 accaddero altre cose, ben più significative della nascita di tanti e tanti bambini come me.

Scena 2/ 2 giugno 1946 / Milano / Genova / Torino / Ttrieste / Venezia / Bologna / Firenze / Perugia / Rroma / Cagliari / Pescara / Napoli / Bari/ Reggio Calabria / Palermo / Catania / Interno-esterno / Giorno-sera-notte / Ovunque...

Si ovunque. Ovunque si andasse e a qualunque ora c’era solo un grido, una parola d’ordine: Re o Repubblica!

Io avevo già i miei cinque mesetti compiuti, ma non mi fecero votare. Vi posso assicurare però che i cinegiornali – quelli della settimana INCOM – che precedevano gli “spettacoli cinematografici” nelle sale di tutta Italia, ribollivano letteralmente di notizie sui disordini, sui presunti brogli, sull’esilio volontario del Re di Maggio. (Comunque io avrei votato “Repubblica”, lo giuro sul Re!).

Vittorio De Sica, su sceneggiatura di Cesare Zavattini, aveva già realizzato “Sciuscià”, così come Fritz Lang “M. Il mostro di Dusseldorf”, protagonista quel meraviglioso attore che era Peter Lore, e Orson Welles “L’orgoglio degli Amberson” e “Quarto potere”. Nel frattempo era in preparazione “La terra trema” di Luchino Visconti. Ma ora veniamo all’argomento che in fondo vorrei evitare: me stesso. Lasciate che ve lo dica: quando si cerca di ripercorrere le tappe della propria vita si ha spesso la presunzione di voler trovare a tutti i costi un nesso logico, un filo di continuità, un significato che rintracci in ogni evento passato la premonizione del futuro. Ma la verità è che ieri nulla ci sembrava evidente e scontato e il domani restava comunque un’incognita, una scommessa.

E’ così che credo vada letta la vita di ciascuno, con la sorpresa di chi la osserva “al futuro”, nella sua imprevedibilità e casualità. E’ un po’ quello che accade a chi guarda un film: c’è l’attesa e la suspence del “che cosa accadrà dopo”. La memoria a volte gioca brutti scherzi: gli effetti si smorzano e a parlare è solo la mente.

E allora capita di esaminare le piccole pieghe del passato, dei nostri genitori, dei genitori dei nostri genitori, legami antichi, quasi sconosciuti, vicende che in un modo o in un altro sono giunte fino a noi incollandosi alla nostra vita per sempre. Storie di mondi lontani. Un nonno emigrato in Argentina, uno zio mai conosciuto che faceva il tenore e che ha girato, vissuto, calpestato il mondo.

Sono legami inconsci, fili d’erba sempre verdi e robusti cresciuti in luoghi e in tempi lontani e solo debolmente vicini al nostro presente.

Tutto questo è come se non lo si volesse lasciare al caso. Tutto deve essere posto in una concatenazione di eventi, quasi ci fosse sempre un’invisibile regia che imposti, sin dalla nascita, la nostra vita. Ma se così fosse? Dove la metteremmo allora la nostra fantasia, la nostra libertà di scegliere e di sbagliare? La memoria va bene per gli archivi, i musei e i monumenti, Quello di cui io voglio parlare è tutto al presente e, in gran parte, ancora da definire. Insomma, è una sceneggiatura “al Futuro” che non prevede la parola “The End”.

Ogni volta che si chiede a qualcuno di parlare di sé, comincia a dire dove è arrivato, come ci è arrivato e nel far questo si mette a cercare qua e là la molla, le motivazioni, i condizionamenti sociali e familiari. Insomma, vuole rendere la propria vita una favola da raccontare. Non è il mio caso. La mia vita non è una fiaba. E’ stata, è e sarà come quella di tutti: un’avventura.

E allora vorrei parlare di quello che sento ora, dell’uomo che sono ora, con le sue debolezze, le sue illusioni, le sue certezze, il suo impegno sociale. Spero di riuscire a parlare ai giovani, dei giovani, del teatro di oggi.

Tuttavia, mi rendo conto che per conoscere l’uomo nel presente bisogna prima dare cognizione del suo passato.”

X Capitolo

Leo

Ci siamo: siamo arrivati più o meno ai nostri giorni. La storia però non finisce qui. E’ solo la “FINE PRIMA PARTE”. Come sarà la seconda e magari la terza lo ignoro. E comunque per me non rappresenta un problema, anzi: è il bello della vita, non vi pare?

Sì, certo, ho lasciato nella penna tante cose, fatti, persone.

TRALASCIO
Ho tralasciato, per esempio, di raccontare di un film che mi sta molto a cuore “Nuovo Cinema Paradiso” di Peppuccio Tornatore, ma anche di “Scugnizzi” e di “Testa o croce” di Nanny Loi, de “La scorta” di Ricki Tognazzi e “La madre inutile” di Josè Maria Sanchez, de “Il carniere” di Maurizio Zaccaro, del film di Christian De Sica “Uomini, uomini, uomini” e di …

TRALASCIO
Ma ora mi piace concludere questo diario con una poesia. E di Salvatore Quasimodo e si intitola “Lamento per il Sud”. Guardatela! Si, guardatela, come fosse un quadro di Picasso…

La luna rossa, il vento, il tuo colore
di donna del Nord, la distesa di neve …
Il mio cuore è ormai su queste praterie,
in queste acque annuvolate tra le nebbie.
Ho dimenticato il mare, la grave
conchiglia soffiata dai pastori siciliani
le cantilene dei carri lungo le strade
dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie,
ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru
nell’aria dei verdi altipiani
per le terre e i fiumi della Lombardia.
Ma l’uomo grida dovunque la sorte d’una patria.
Più nessuno mi porterà nel Sud.

Oh, il Sud è stanco di trascinare morti
in riva alle paludi di malaria,
è stanco di solitudine, stanco di catene,
è stanco nella sua bocca
delle bestemmie di tutte le razze
che hanno urlato morte con l’eco dei suoi pozzi,
che hanno bevuto il sangue del suo cuore.
Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti,
costringono i cavalli sotto coltri di stelle,
mangiano fiori d’acacia lungo le piste
nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse.
Più nessuno mi porterà nel Sud.

E questa sera carica d’inverno
è ancora nostra, e qui ripeto a te
Il mio assurdo contrappunto
di dolcezze e di furori,
un lamento d’amore senza amore.

Io invece torno sempre al Sud. A volte solo col pensiero: forse è anche più dolce. E poi il Sud ce l’ho dentro. Ne sono parte integrante anche se ne rappresento un pezzetto piccolissimo.
Cosa volete che vi dica ancora? Sono veramente mille i fili d’erba che dovrei raccogliere e intrecciare per raccontare me stesso. Mi viene in mente tutto: il male, il bene, la morte, la vita. La vita, già… la vita!
La vita è come la lava sulla quale anch’io sono nato, ai piedi del più grande vulcano d’Europa. La lava sgorga dal seno della terra, esplode e ricopre di un manto caldo le colline e i campi rendendoli fertili.

E la sera?

Beh, la sera dà un grande spettacolo …

L'attore

"Ancor prima di sapere cosa avrei voluto fare nella mia vita, mi son ritrovato, inconsciamente, a calpestare le tavole di un palcoscenico. In giovanissima età, e per qualche soldino in più, sono andato a far la comparsa al Teatro Massimo Bellini di Catania. Ed ho le prove ! "
"Nel 1962, un giovane regista, Giacomo Vaccari, sceglie il Mastro-don Gesualdo per realizzare la prima produzione della Rai di uno sceneggiato girato interamente in esterni, a Vizzini, nei luoghi in cui Giovanni Verga ambientò il romanzo. Non scenario o cornice ma linfa vitale in stretta simbiosi con la drammaticità esistenziale che dal romanzo elice. Sicchè non è possibile pensare Vizzini senza vederne vicoli, strade, piazze, case, palazzi, chiese, contrade, popolati di personaggi verghiani.
Esemplari interpreti, mai retorici o fuori di chiave, Enrico Maria Salerno, Lydia Alfonsi, Turi Ferro, Sergio Tofano, e con loro innumerevoli altri attori professionisti, fra cui i maggiori 'caratteristi' del teatro siciliano".

dal libro "Mastro-don Gesualdo",
sceneggiatura di Ernesto Guida e Giacomo Vaccari,
dall'omonimo romanzo di Giovanni Verga
a cura di Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla
fotografie di Vizzini di Giuseppe Leone
Ed. 'La Cantinella'

Vizzini

Un frame del film Mastro-don Gesualdo. Nella scena finale, quando sta per morire Mastro-don Gesualdo, uno dei camerieri che assiste alla sua dipartita è un giovanotto di nome Leo Gullotta e questo è un frame di quello storico film per la televisione.