Relazione Tesi di Laurea

"Leo Gullotta, l'uomo e l'attore"

Relazione ad una Tesi di Laurea di Sarah Zappulla Muscarà, docente all'Istituto di Storia dello Spettacolo Siciliano

Eccentrico, beffardo, dissacratore, plebeo, aristocratico, sempre in grado di penetrare nelle pieghe più riposte del personaggio per strapparne l'anima, Leo Gullotta, che ha raccolto il testimone dei gloriosi attori del teatro siciliano, spazia dal comico, nell'accezione classica, all'ilare, al grottesco, al drammatico, al tragico, giacché l'artista deve sapere esprimere il riso e il pianto. L'uno elemento insostituibile di rigenerazione attraverso cui ci s'innalza sul senso comune, l'altro strumento incomparabile di catarsi cui Aristotele assegna il compito di educare gli uomini agli affanni, ai dolori, ai lutti. In Leo Gullotta, di forte spessore umano, un profondo sentimento etico della vita, intesa come impegno, come dono di sé, sorretto da una discrezione, da una severità ben rari nell'assordante mondo dello spettacolo.

 Singolare la carriera di quest'attore impareggiabile, il volto spoglio di retorica, generoso di verità nella finzione, d'insospettata, contagiosa energia da quando ancor giovinetto palesa ai genitori stupefatti i segni della sua vocazione. Perché di vocazione si tratta, non soltanto di mestiere.

 Autentico l'istintivo suo cogliere nell'ebbrezza un presagio di fine, una caduta triste, nel sorriso una fredda carezza di disagio e nel ‘rictus' un segno di sotterranea nevrosi. Allievo superbo di quel Pirandello che ne avrebbe approvato le «mosse d'anima», la sapienziale maestria nel cogliere “il sentimento del contrario”, la rigorosa misura nell'assecondare la metamorfosi delle sue maschere.

 Maschere diverse e discordi che variamente ci intrigano.

 Dalle tavole del palcoscenico, accanto a protagonisti illustri quali Turi Ferro, Ida Carrara, Salvo Randone, Umberto Spadaro, ai luccicanti spettacoli di varietà televisivi, dai film d'impegno e denuncia sociale al cabaret d'autore, mutando Leo Gullotta continuamente pelle.

 La sua presenza nel Teatro Stabile di Catania dura undici anni nel corso dei quali prende parte tra l'altro a “I Vicerè” di De Roberto, a “Molto rumore per nulla” di Shakespeare, a “Il giorno della civetta” di Sciascia, ai “Sei personaggi in cerca d'autore” di Pirandello a “La violenza” di Fava.

 Nel cinema si distingue per ruoli intensi, in “Mi manda Picone” e “Scugnizzi” di Loy, “Il camorrista”, “Nuovo cinema Paradiso” e “L'uomo delle stelle” di Tornatore, “Il Carniere” e “Un uomo per bene” di Zaccaro, “Vajont” di Martinelli, “In questo mondo di ladri” di Vanzina; nella televisione in “Operazione Odissea” di Fragasso, “Cuore” di De Amicis, “Il bell'Antonio” dal romanzo di Brancati, tutti per la regia di Zaccaro, “Il cuore nel pozzo” di Negrin . Né meno importante l'attività di doppiatore.

 A Leo Gullotta, vincitore di ben tre David di Donatello e insignito di molti altri riconoscimenti, Tullio Kezich ascrive «un solo grande difetto, quello di essere nato a Catania e non a Los Angeles. Nel secondo caso, avrebbe già ricevuto almeno tre Oscar». È probabile.

 Ma dell'essere nato a Catania, al Fortino, da un pasticcere e da una casalinga, l'attore ha fatto il suo punto di forza e d'orgoglio, consapevole erede di una tradizione teatrale che affonda le radici in un humus antichissimo, da cui è germinata la stagione aurea del teatro siciliano, in virtù d'interpreti del calibro di Giovanni Grasso, Angelo Musco e dei loro valorosi compagni, approdati a traguardi prestigiosi sui maggiori palcoscenici del mondo. Trasformandola, Leo Gullotta dà alla realtà una diversa sostanza, portatrice di un linguaggio nuovo, ricreato a livello profondo e restituito a livello formale. Nel differenziare l'azione drammaturgica offre l'illusione della verità, giacché, osserva Hintikka, si riesce a dire qualcosa del mondo «soltanto collocandolo sulla mappa di tutti i diversi mondi possibili».
 Stabilendo un contatto immaginativo con il reale, in situazioni e condizioni diverse e talora persino opposte, se ne allontana quanto più è possibile per coglierlo nella sua interezza. E si estenua nell'irrinunciabile impegno, nel tentativo di ricomporre in unità quanto si disperde o si aggruma nell'evento della recitazione. Nella memoria, come nell'arte, la lontananza spaziale o temporale si fa illuminante.
 Il rifiuto dell'enfasi è il segno distintivo di Leo Gullotta, sia che si tratti di satira folgorante, di sferzate allucinate o grottesche, di sguardi stravolti nella fissità folle della maschera, di battute che s'impennano o si raccolgono nell'intimità della confessione, di monologhi di slancio lirico, del grido esistenziale, Leo Gullotta incarna il «luminoso attore» prediletto da Shakespeare.

Sarah Zappulla Muscarà