UN UOMO PERBENE regia di Maurizio Zaccaro
Questo film pieno di buona volontà è la dimostrazione di come sia impossibile, e da tempo, riuscire a spremere ancora qualcosa dal genere denuncia politica. Assieme al genere commedia all'italiana (ovvero «come siamo ganzi noi italiani»), esso ha dominato fino a tempi recenti, quando è stato infine assorbito nell'immenso sciocchezzaio televisivo delle piovre e dei commissari di peluche, liberando gli schermi. O lasciandoli ai polizieschi hollywoodiani, che almeno hanno due facce, quella d'autore e quella insegui e spara, e sulla prima sono ancora capaci di uno sguardo acuto sulla corruzione del mondo e sul dolore che ne nasce. Ecco, a Zaccaro sarebbe tornato utile rivedere un pò di film americani, specialmente i vecchi bianco e nero anni Cinquanta di fredda ricostruzione, di grande capacità di sintesi, di chiara sceneggiatura, di precisa, benché talora un po' stretta, morale.
Il difetto di Un uomo perbene sta nella sceneggiatura, inutilmente aggrovigliata ed eccessivamente polifonica, che appunto non riesce a rendere chiaro il confuso. Le qualità di Zaccaro sono di tipo più documentaristico, di ottimo e sensitivo perlustratore di ambienti, non di narratore. E qui aveva contro sia l'handicap del genere cadaverico sia l'impiccio di un personaggio difficile, sul quale davvero occorreva un punto di vista più forte anche umano oltre che politico. Emile Zola lamentava che gli fosse toccato difendere un personaggio come Dreyfus, che era assolutamente doveroso difendere ma che proprio simpatico non era.
Capita spesso, ed è capitato mettiamo, con Tortora come con Adriano Sofri. E capiterà certamente ancora, in un paese di leggi così abbondanti, di giudici così dipietreschi. Che l'innocente Tortora diventi il santino Tortora: è questo anche che nuoce al film. E che il film non assuma mai
un punto di vista suo, strutturando il racconto razionalmente invece di disperderlo in inutili avanti e indietro e di lato e di traverso. Non è per, né contro la magistratura o i media, fa la predica a tutti, affidando le buonsensate battute finali al «repubblicano» e diessino Michele Serra
L'occasione perduta è quella di un cinema civile utile nella nostra approssimativa, magmatica, enfatica, predicatoria, ricattatoria, insincera, opportunistica cultura contemporanea, dove media, giustizia e politica sono ormai una stessa disperante pappa. Di Un uomo perbene, apprezzate le ottime intenzioni va salvata soprattutto una cosa: l'ottima interpretazione di Leo Gullotta, che se si amministrasse un pò meglio e facesse meno cose sarebbe il solo attore italiano all'altezza dei grandi caratteristi statunitensi, inglesi, francesi.