Corriere della Sera

Tornano gli anni facili dell'Italia che fu

Controvideo

di Alberto Bevilacqua

La seconda metà della settimana si è svolta all'insegna dell'Italia che fu. Sono serviti, ovvio, i vecchi film, riciclati come al solito senza una linea di discorso che ne giustifichi la riproposta. Film discreti e robaccia.
Cominciamo da Anni facili (ieri, Rai Uno che Luigi Zampa - regista fra i migliori del dopoguerra, ora ingiustamente messo da parte - girò nel '53, con Nino Taranto protagonista. Nella remota storia, l'Italia che fu aveva, a suo emblema, il caso dei professor De Francesco, insegnante e temprato antifascista, che veniva spedito a Roma da un paesino della Sicilia. Smarrito nel dispendioso caos degli altrui "anni facili", l'omino ci perdeva la camicia e la coscienza, non riuscendo a concludere nulla. Ancora attuale la morale di Zampa? In buona parte, sì.

L'italiano continua a inseguire, come allora, la facilità del vivere, non si accorge di accollarsi infinite difficoltà nell'illusione di raggiungerla e finisce, per lo più, con un pugno di mosche, l'illusione inappagata. Ciò che fa rabbia è che, con un pò più di senno e una maggiore collaborazione reciproca, davvero si potrebbe vivere con una relativa serenità. Ma, chissà perché la tanto auspicata facilità, a ben vedere, non la vogliamo. Soltanto i guai ci impediscono di annoiarci? Che sia questo? Per inciso, la noia si insinua, forzando la nostra migliore volontà, anche di fronte a spettacoli che partono animati da intenti edificanti. Giovedì, per esempio, Rai Uno ha trasmesso "Fratello mondo, sorella pace", registrato, sul finire di Giugno, al Teatro Romano di Fiesole.
Il direttore artistico della manifestazione era Sergio Bernardini e presentavano, con dosata verve, Simona Izzo, Alessandro Gassman e Ricky Tognazzi. Buona la regia di Egidio Luna. Insomma, gli ingredienti non facevano difetto e gli ospiti - chiamati in causa tramite collegamento internazionale o in diretta - offrivano garanzie.
Si possono forse negare le dovute garanzie ai solisti del Bolscioi di Mosca al Circo della Cina Popolare, a Luciano Pavarotti? Certo che no.

Eppure, il proposito dichiarato e ripetuto - «lanciare un messaggio per la pace nel mondo attraverso l'arte e la musica» rendeva statico, ovattato il tutto; quasi, un po' intimoriva. La propugnata bontà procura disagio; non meno della facilità esistenziale, fa apparire più allettante, a livello masochistico, il suo contrario.
Di nuovo, ben poco è cambiato dall'Italia del '76, che Alberto Sordi ha interpretato, con qualche giusta intuizione e parecchie sconnessioni, nel film "Il comune senso del pudore" (Italia 1, giovedì). Bernard Shaw sosteneva che «il pudore è la congiura del silenzio, dell'impudicizia»; Sordi la pensava allo stesso modo, denunciando il comune sentimento, annunciato a principio dalla legge sulla morale, come una mascheratura ipocrita. Senza pudore, dunque, gli italiani, oltre che portati ad annoiarsi coi buoni sentimenti?
 Personalmente riteniamo di no, ma è difficile essere troppo categorici, in tal senso, oggi che Cicciolina siede in Parlamento. In quale altro Paese ciò avrebbe potuto accadere? In nessuno. E dunque l'Italia è un gran guazzabuglio, dove esistono, in pari misura, la voglia di essere rettilinei e le mille strade contorte lungo le quali ci si avventura.

Che cosa rimane a riscattarci? Quel tanto di beffa e di sarcasmo. Perché Cicciolina è in Parlamento? Per una beffa, si ripete, uno sfregio al marcio delle istituzioni. Che il rimedio sia peggio del male sembra importare poco. Ma torniamo al sarcasmo e al modo di dargli vita spettacolare. L'Italia che fu ebbe, nel '51, "Guardie e ladri", deliziosa operina diretta da Steno e Monicelli, con due formidabili interpreti, Totò e Aldo Fabrizi, andata su Rai Uno venerdì. L'Italia di oggi ha "Per chi suona la campanella" (seconda puntata, sempre venerdì, Rai Due), che è poi la storia antologica di ventisette anni di Bagaglino: il noto cabaret romano che venne fondato, appunto, in via della Campanella, e subito    
animato da Castellacci e Pingitore.

Lo stesso Pier Francesco Pingitore cura la regia della carrellata su scenette amene che, quando non scivolano nel greve, offrono, su un piatto casereccio, gustabili portate di amabile presa in giro. Al Bagaglino sono passati anche attori con la maiuscola, e basterebbe pensare a Leo Gullotta. Con lui, in video, il telespettatore può ritrovare Gabriella Ferri, Pippo Franco, Oreste Lionello, Gianfranco D'Angelo.
L'Italia che fu, inoltre, non può ignorare "Italiani brava gente", che Giuseppe De Santis girò, nel '64, sulla campagna di Russia. E questo è un punto focale: nonostante tutto, l'italiano «brava gente» resta. Ma ci vogliono guerre, stenti, disastri, per dimostrare questo fondo di saldezza morale e di onestà. Perché? Solo Dio lo sa. Che sia, sul serio, la noia di vivere «come si deve» a farci passare, anche nei confronti di noi stessi, per l'opposto di ciò che siamo?

Alberto Bevilacqua